L’analogia donna-Madonna: una lettura tutta umana


Leonarda Crisetti

In occasione della festa della donna, vorrei proporre una lettura tutta umana del rapporto coltivato in particolare in passato tra donna e Madonna. Credo che proprio l’essere madre di quest’ultima abbia fatto breccia nella devozione popolare cagnanese e di tutto il mondo cristiano. Maria, infatti, proprio come tutte le madri, è amorosa e sofferente.
L’analogia donna-Madonna non è una forzatura e trova conferma nei detti, passati di bocca in bocca tra le donne di Cagnano. Di fronte alla precarietà dell’esistenza e al condizionamento culturale, che le voleva obbedienti e rassegnante, le donne sussurravano: “C’àmma bbrazzà la croce!”; “Àmma purtà la croce!”. E quando si chiedeva loro di sbrigare questa e quelle faccenda, dicevano: “Se ccande ne mburte la croce!”. Espressioni tutte di genere femminile, che alimentavano la convizione secondo la quale la donna fosse venuta al mondo per soffrire.
Se la donna cagnanese con il Cristianesimo ha visto nella Madonna un’altra se stessa, prima ancora credo si sia identificata nella “Quarandanna”, altra figura femminile vestita quasi sempre a lutto, triste e magra, intenta a lavorare. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, le bambine del posto giocavano ancora con la Quarandanna, una pupa di pezza costruita con le proprie mani, che impiccavano nel periodo della Quaresima [di qui il nome “Quarandanna”] e bruciavano l’ultimo giorno di Carnevale. Configurato nell’immagine di donna impegnata a filare, per pagare i debiti del marito ubriacone, il rito e il mito della Quarandanna potrebbe, dunque, essere confluito in quello della Madonna, un personaggio tutto umano e sofferente.
L’analogia donna-Madonna si può cogliere, inoltre, nel concetto tutto umano di santità. Santo è colui che sta a fianco, che è compagno, che mostra disponibilità assoluta. Come la Madonna accetta il sacrificio del Figlio, la donna di Cagnano accetta di soffrire per chi ha generato. Accadeva, infatti, in passato, che a fronte di rapporti difficili con il marito, la suocera, il fratello del marito, il figlio grande [alle aggressioni verbali e fisiche dei quali doveva sottostare, spesso umiliandosi], la donna che più taceva ed era meglio in grado di sopportare fosse chiamata dalle vicine “Santa”.
Santa era dunque la donna, che soffriva nel tentativo di portare la “sua croce”. E già, perché questa donna non aveva diritto di parola, né di muoversi liberamente, o di decidere e scegliere con chi trascorrere la propria vita. Lavorava, inoltre, come una bestia da soma, in casa, in campagna e al lago.
Si occupava dell’educazione dei figli, veicolando comunque l’idea che la maggiore autorità fosse quella paterna.

Redazione
Redazione
Articoli: 528