Ai posteri l’ardua sentenza

di  Francesco D’AUGELLO, ex consigliere comunale

Tutti abbiamo spesso sentito dire, specie in passato, che la calma è la virtù dei forti; la pazienza la virtù dei saggi; la speranza quella benefica virtù che fa nascere il futuro; che il lavoro nobilita l’uomo, ecc. .

            Siamo sicuri che queste belle frasi, come del resto tutte le altre di pari significato educativo, conservano ancora il loro valore e possono continuare ad essere oggetto di meditazione? Penso proprio di no per lo scempio che di esse se n’è fatto; credo invece che abbiano avuto un senso ed un valore solo fino a quando hanno conservato effettivamente un risvolto positivo concreto, nel senso che il messaggio confortevole contenuto nel loro asserto si sarebbe avverato con certezza.

Purtroppo non è più così, perché quelle stesse frasi sono state svuotate di tutta la loro efficacia. Per esempio che senso ha dire oggi che il lavoro nobilita se di lavoro c’è n’é sempre meno e continua a crescere soprattutto la disoccupazione giovanile?

A consegnarle al dormiente libro dei dolci ricordi, ci ha pensato, con le dovute ma rare eccezioni, una classe politica cieca e sorda ad ogni richiamo morale, da chiunque lanciato. E che una volta espugnati organi ed istituzioni dello Stato non ha fatto altro che scandalizzare l’opinione pubblica con esempi quotidiani di malcostume morale e legale, dando di sé un’immagine squallida e ripugnante.

La prova di quel che dico è nelle tante brutte notizie che rimbalzano quotidianamente, senza soluzione di continuità da molti anni a questa parte, sia dai titoli dei giornali che dalla televisione.

Com’era facile prevedere, l’onda lunga e fangosa delle nefandezze compiute, che hanno devastato ogni settore della vita sia pubblica che privata, non poteva non contaminare tutti quegli altri sentimenti umani – grandi, nobili e puri – che hanno impegnato il cuore, l’anima e la mente delle vecchie generazioni, come ben sanno ormai i pochi fortunati sopravvissuti, tra i quali il sottoscritto, alle quali veniva insegnato di saper discernere il bene dal male, quindi di diffidare dei falsi profeti; di non mai dimenticare le proprie origini e di valorizzare le proprie tradizioni; di non desiderare né la donna né la roba degli altri; di riciclare il pane raffermo che è il primo frutto del lavoro dell’uomo; che ogni premio richiede a priori il compimento di un dovere; che le cose che si apprezzano e gustano di più sono quelle che si ottengono con fatica. Soprattutto veniva loro insegnato il senso del dovere e della responsabilità e che la pur sacrosanta parola “diritti” venisse pronunciata dopo, ma soltanto dopo, la corrispondente parola “doveri”.

Finché praticati, questi insegnamenti hanno sortito un effetto benefico per tutti, ma una volta che gli stessi principi sono stati calpestati e derisi, poi che hanno perduto il fascino e l’aureola di alto valore morale di cui erano viva espressione, sono finiti anch’essi nel dimenticatoio, sede immaginaria dell’oblio, “quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi”, o quali fragili steli riarsi dalla calura del solleone. Sta di fatto che il tramonto di un sistema di valori così semplici e naturali, miranti non ad un godimento ma ad una perfezione dell’individuo, dunque patrimonio ideale di una Cultura con la ci maiuscola, rappresenta una delle perdite più gravi che la nostra società abbia subito. Si sprigionava da essi una forza morale creativa e propulsiva entusiasmante, che spingeva i giovani a perseverare nei loro propositi virtuosi e nelle loro lodevoli aspirazioni, allo scopo di migliorare se stessi e progredire nella costruzione di una società – casa comune – più giusta, ordinata e solidale. Invece siamo caduti, anzi siamo stati cacciati, in un vero e proprio labirinto, talmente complicato e tortuoso da rendere assai difficile la possibilità di poterne uscire illesi, pure ammesso che, dopo incerto e lungo vagare nel buio, una possibile via di uscita la si trovi comunque.

In ultima analisi, se proprio devo essere sincero e dire la verità, dirò che, al confronto, il mondo di ieri a me sembra migliore e più umano di quello di oggi. Noi, giovani di allora, potevamo guardare al futuro in fiduciosa attesa, con speranza ed ottimismo. Erano momenti in cui i nostri occhi si illuminavano di gioia e sorridevano; ci sentivamo felici pur senza il frigorifero e l’aria condizionata, la discoteca del sabato sera, il vestito nuovo e il telefonino in tasca. I giovani di oggi, invece, pur disponendo di beni materiali a profusione, guardano al loro domani con smarrimento, l’ansia e l’angoscia di chi sa che in queste condizioni nessun futuro è possibile immaginare. Molti di essi si muovono addirittura con disperazione e, a causa di un progressivo avvilimento, sperimentano l’uso di sostanze che non hanno altro effetto che l’autodistruzione. E se sono giunti a questa deriva è perché nessuna scialuppa di salvataggio vedono apparire per ora al loro opaco orizzonte, per altro anche molto angusto. Siccome sono nonno di cinque nipoti, di cui qualcuno già in cerca di un suo futuro lavorativo, non faccio nessuna fatica a comprendere il loro disagio, la sofferenza e la frustrazione che li accompagnano in tutte le ore del giorno e forse anche della notte.

“Le fontane, versando acque lustrali,

amaranti educavano e viole

su la funebre zolla”.

Traggo questi versi dal carme foscoliano i “SEPOLCRI” e mi domando se riusciremo a scoprire anche noi una fonte di acque purificatrici che ci faccia risorgere a nuova vita. Come i fiorellini di campo già chini e chiusi perché intirizziti dal gelo notturno, quando il sole li illumina riprendono a vivere drizzandosi e aprendosi sul loro stelo. O come i fragili steli che, arsi dal solleone tra l’erba inaridita, poi che hanno ricevuto refrigerio da una provvida rugiada mattutina, riprendono a vegetare rigogliosi.

Il miracolo potrebbe compiersi per mano di una nuova classe politica, giovane sì, ma più nelle idee che negli anni, capace di assecondare Papa Francesco nella costruzione di un mondo nuovo, a cominciare qui da noi in Italia, dove più urgente è il bisogno.

Per non lasciare dubbi, chiarisco che fioretti e steli sono per me le virtù sopite, gli antichi valori dispersi nel vento, mentre sole e rugiada sono la vita e cioè la voce di Dio e della Natura che, se ascoltata, ancor più della volontà politica, potrebbe da sola ridarci la speranza che una vita migliore sia ancora possibile. E potrebbe essere la Sua mano soltanto a guidarci “pe’ floridi sentieri della speranza”, acchè ciascuno di noi esca dalla selva oscura dov’era caduto poi “ché la dritta via era smarrita”.

E quanto ai politici che ci hanno governato al modo sciagurato già detto, più che a un Dio manzoniano, pietoso nelle pene, si meriterebbero di essere giudicati da un Dio più severo, quello dantesco, talora più tremendo nella sua giustizia. Tanto più che essi non mostrano nessuna intenzione di redimersi, anzi sono ancora là a dettarci le loro leggi.

In ogni caso, affidiamo ai posteri il compito di emettere l’ardua sentenza.

                                                                                  Francesco D’AUGELLO

Redazione
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